Consulente organizzativo
o psicologo? Cosa significa fare il Coach aziendale? Che figura è il Coach che lavora per una organizzazione?
Quali caratteristiche deve possedere chi intraprende questo tipo di carriera?
A tutte queste domande si è cercato di dar risposta durate un dibattito/confronto organizzato dalla Scuola di Palo Alto.
Fino a questo momento i professionisti che si sono posti sul mercato in qualità di Coach aziendali
sono stati perlopiù figure caratterizzate da un background marcatamente tecnico o manageriale, con
lunga esperienza nel settore del lavoro e delle organizzazioni.
Queste figure sono ritenute da sempre le più accreditate alla mansione di Consulente organizzativo, soprattutto grazie alle proprie esperienze professionali, maturate “sul campo” nel corso degli anni, e ad adeguati percorsi di training professionali.
Non tutti però la pensano allo stesso modo. C’è chi ritiene che per poter svolgere questa professione
sia necessario avere un background di competenze e conoscenze legate anche alla sfera psicologica
dell’individuo, soprattutto per quei casi in cui “il problema” potrebbe non essere riconducibile
soltanto alla sfera professionale ma riguardare la persona nella sua interezza.
Nasce l’esigenza
Nasce così l’esigenza di considerare professionisti a tutto tondo, capaci di apportare le proprie
esperienze e competenze aziendali nei percorsi di sviluppo degli “high potential”, ma allo stesso
tempo titolati a intervenire con gli strumenti più appropriati anche di
fronte a problematiche psicoemotive senza il rischio di fare danni.
Compare così una figura del tutto nuova nello scenario organizzativo: lo psicologo. Questo professionista della “mente”, considerato da sempre medico della psiche e operatore di guarigione delle patologie strettamente individuali, si apre ora ad un contesto innovativo: l’azienda.
Lo psicologo perciò, rivendicando la propria competenza e la propria “naturale” predisposizione alle
relazioni d’aiuto volte alla soluzione di problemi e al raggiungimento di obiettivi personali e
professionali, si fa promotore di trasferire nelle organizzazioni le proprie competenze, l’expertise
multisettoriale, l’esistenza di una vera e propria deontologia, le tecniche e gli strumenti ad uso
esclusivo della professione.
Consulente Organizzativo o psicologo?: alla luce di tutto questo…
Alla luce di questa premessa, resta aperta la questione di chi veramente sia la figura più titolata al
Coaching aziendale: il coach che magari è stato anche manager, supportato da un’esperienza a 360°
in ambito aziendale o lo psicologo, figura innovativa in campo organizzativo, con grande
competenza nell’ambito delle relazioni umane e nel supporto di situazioni problematiche?
Questo il tema centrale del dibattito che la Scuola di Palo Alto ha promosso, dando il via a un
confronto che si è tenuto a Milano il 9 giugno presso la sede della Scuola, al quale hanno
partecipato coach psicologi e non-psicologi con i propri punti di vista e le proprie motivazioni, con
l’obiettivo di trovare una risposta a tale importante quesito.
A supporto dei coach non-psicologi sono stati invitati a intervenire Enrico Banchi COO di Profiles
International Italy, Coach e Speaker internazionale e Roberta Prato Previde Coach, Consulente di
Management CMC.
Le esperienze in qualità di Coach psicologi sono state riportate da altrettante figure rappresentative,
ovvero Roberto Bonanomi Psicologo, Consigliere Tesoriere Ordine degli Psicologi della Lombardia
e Paola Santoro Psicologa Sistemica, Coach e Consulente HR della Scuola di Palo Alto.
Il dibattito è stato moderato da Marco Masella, Presidente della Scuola di Palo Alto, il quale è stato
sapientemente capace di mediare la discussione tra i due fulcri, riuscendo allo stesso tempo a far
emergere le impressioni e i pareri del pubblico partecipante, composto da psicologi professionisti,
uomini d’azienda, consulenti e coach.
Marco Masella ha aperto il dibattito con una breve digressione sulla propria esperienza
organizzativa, sul significato di fare il Coach in azienda e sulle
caratteristiche che esso deve avere, soffermandosi poi sull’importanza
di maturare una lunga esperienza nel settore organizzativo per svolgere
al meglio il compito di Coach aziendale. Ecco come si è svolto e cosa è
emerso dal
dibattito.
Consulente Organizzativo o psicologo: “Chi è meglio avere come Coach?”
Marco Masella (Moderatore). Abbiamo invitato due psicologi e due non-psicologi che
cercheranno insieme a voi, pubblico, di rispondere al seguente quesito: “Chi è meglio avere come
Coach? Un manager con lunga esperienza nel campo organizzativo, ma che non sa nulla di relazioni, di risoluzione dei problemi dal punto di vista psicologico, di strategie, di tecniche o di
strumenti; oppure è meglio contare su uno psicologo, competente circa i punti appena citati, ma che
non ha mai lavorato in azienda e perciò non conosce la realtà organizzativa e tutti i problemi ad essa
correlati?”.
In definitiva: è meglio formare un Coach con ampia competenza
aziendale, a cui innesto abilità di relazione, oppure è più semplice
formare uno psicologo a cui vengono innestate
competenze aziendali?
Bonanomi Roberto (psicologo). Il Coach è una figura davvero potente. L’azienda che si rivolge al
coach mette nelle sue mani figure importanti del vertice aziendale; per questo è disposta a investire
molto e di conseguenza si aspetta anche molto. Per questo il coach deve essere una persona
preparata e competente, capace di far rendere al massimo l’investimento del proprio cliente.
Vorrei inoltre cercare di soffermarmi su un altro quesito che tutt’ora rimane privo di risposta,
ovvero: “Chi è il Coach?”.
Io sono solito rispondere a questa domanda esplicitando che egli è la persona in grado di saper “sviluppare il potenziale” e, allo stesso tempo, di “intervenire laddove sia necessaria la risoluzione di problematiche inerenti il mondo aziendale”, utilizzando tutte le tecniche e le metodologie proprie della materia. Il Coach è anche quella figura che intervenire sia con il singolo (one to one) sia con la comunità organizzativa (one to many).
Dal mio punto di vista è quindi assolutamente indispensabile che questa figura sia quella di uno psicologo.
Consulente Organizzativo o psicologo: l’esperienza è fondamentale
Enrico Banchi (non-psicologo). In base al mio vissuto posso sicuramente affermare che la lunga
esperienza di business è assolutamente fondamentale per il coach.
Molte volte ci si trova di fronte l’amministratore delegato dell’azienda X che si aspetta una risposta
immediata in merito a un problema di business. Io so che in qualità di coach, nel momento in cui
questa persona andrà a espormi il suo problema aziendale, non posso permettermi di temporeggiare
in merito alla risposta migliore, ma dovrò dimostrarmi incisivo e pronto a fornire una risposta
pronta, secca, decisa.
Per cui non mi sento di affermare che il Coach sia solamente colui in grado di dar consigli o di far emergere il potenziale individuale, ma, grazie soprattutto all’esperienza diretta in azienda, deve essere un professionista capace di affrontare qualsiasi problematica di business.
Mi schiero invece completamente dalla parte del Coach psicologo nel momento in cui un manager
dichiara di avere un problema più serio che tocca la sfera personale. In questo caso può e deve
intervenire lo psicologo perché il coach organizzativo non ha le basi per poter gestire la situazione
nel migliore dei modi. Paradossalmente vedo una grossa simbiosi, un gran lavoro di squadra tra
Coach psicologi e non-psicologi.
Le due realtà
Paola Santoro (psicologa). Premesso che queste due realtà (mondo relazionale, sociale,
emozionale e mondo pragmatico, tecnico) ci sono ed esistono, viene spontaneo chiedersi “ma cosa
sta in mezzo ai due poli?”. Credo che il confine spesso non sia mai così netto. La realtà che si trova
nel mezzo non è chiaramente interpretabile. È qui che secondo me entra in gioco un Coach con una
lunga preparazione psicologica, un Coach che sia in grado di captare anche il “non visibile”, il
sotteso, la parte confusa dell’esperienza che il cliente porta con sé.
Inoltre, spesso possono capitare anche situazioni in cui la versione del soggetto interessato sia
diversa da come è realmente, dove verità storica e narrativa non coincidono tra loro. È per questo
motivo che, a mio parere, una giusta preparazione e una delicatezza psicologica possono
decisamente giovare alla situazione.
Consulente organizzativo o psicologo: in mezzo ai due mondi
Roberta Prato Previde (non-psicologa). Posso dire di trovarmi un po’ in mezzo a questi due
mondi. Da 14 anni lavoro come consulente aziendale e mi accorgo che ci sono situazioni in cui è
assolutamente necessario assumere un atteggiamento da vero psicologo, altre invece che richiedono
una preparazione strettamente consulenziale.
Mi rendo conto che l’esperienza organizzativa è molto importante, se non addirittura essenziale; allo stesso tempo però capisco perfettamente che la padronanza e la conoscenza di un codice etico/deontologico può sicuramente avvantaggiare una situazione di questo tipo.
Roberto Bonanomi (psicologo). Abbiamo analizzato tutte queste realtà in cui abbiamo appurato
l’esistenza di due “estremi”: da un lato uno più psicologico, razionale, emotivo; dall’altro un
estremo più tecnico, manageriale…in realtà tutta questa dicotomia non esiste!
È un errore sostenere la presenza dei due poli, poiché tutto è compenetrato, confuso, amalgamato. Il termine “work life balance” di cui si parla tanto in questo periodo non è altro che un errore dal punto di vista terminologico, poiché presuppone una maggiore importanza del “work” sul “life”, quando in realtà esso è un tutt’uno.
Work e Life sono tutt’uno…
Prendiamo ad esempio un soggetto lavoratore: egli, anche quando è nel suo posto di lavoro, porta dentro a sé il ricordo della famiglia, con tutte le gioie/problemi che possono esserci in essa e allo stesso tempo, quando si ricongiunge alle mura domestiche, resta vivo il ricordo, con tutte le emozioni ad esso correlate del mondo lavorativo.
La nostra vita reale è un tutt’uno intrapsichico di lavoro e di relazioni. Se un cliente ha una difficoltà di relazione con il proprio capo, e allo stesso tempo anche con i membri della propria famiglia, è impensabile riuscire a ristabilire ottime relazioni sul lavoro senza andare a scontrarsi anche con quelle difficili presenti in famiglia.
Perciò ribadisco che solamente un individuo avente la giusta formazione psicologica sarà in grado
di utilizzare un approccio che gli consenta di gestire la complessità delle relazioni lavorative che al
contempo si mischiano, uniscono e compenetrano a quelle del vissuto personali del cliente.
A mio parere la formazione di un Coach con competenze psicologiche è la soluzione migliore, ciò
in virtù anche dell’esistenza di un codice deontologico, regolamentato a livello legislativo, che
tutela la riservatezza e la delicatezza dei dati del cliente.
Roberta Prato Previde (non-psicologo). Mi rendo conto che forse una legislazione alla base di
tutto renda più sicuro e stabile il rapporto tra domanda e offerta; ma al contempo è altrettanto vero
che il Coach ha lo scopo esclusivo di risolvere problemi aziendali di un ipotetico amministratore
delegato, focalizzandosi esclusivamente attorno ad essi.
È chiaro che se lo stesso amministratore rivela di aver avuto grossi problemi relazionali anche in passato, non solo con il capo o con i colleghi, ma anche con i membri della propria famiglia, allora solo a questo punto l’intervento di uno psicologo risulta necessario, poiché occorrerà agire intervenendo sul soggetto stesso.
Consulente Organizzativo o Psicologo: Ricapitoliamo
Marco Masella (Moderatore). Ricapitolando: un capo con il desiderio di vedere nei propri
dipendenti un cambiamento in positivo, come si deve muovere? In quale professionista deve
investire?
Enrico Banchi (non-psicologo). A mio parere lo psicologo ha un grosso problema da risolvere. Mi
capita spesso di essere chiamato per affiancare top manager. Ma sapete qual è la domanda più
frequente che mi sento fare? “Lei è psicologo?”. “No, sono ingegnere”. “Allora possiamo
continuare a parlare…” Questo è ciò che mi sento dire spesso. Quando rispondo che non sono
psicologo allora il cliente si rilassa, si sente rasserenato, espone il proprio problema senza, in
qualche modo, sentirsi obbligato a giustificare la richiesta d’aiuto.
In Italia c’è la credenza che lo psicologo sia il “dottore dei pazzi”, forse per questo il cliente
dimostra una certa reticenza ad essere affiancato da un Coach psicologo per un problema
organizzativo.
Infine ribadisco la cruciale importanza di avere una grande esperienza organizzativa per fare il
Coach aziendale.
Consulente Organizzativo o Psicologo: lo stereotipo
Roberto Bonanomi (psicologo). Circa la stereotipia della figura dello psicologo, vorrei sottolineare
il ragionamento tipico di un cliente che cerca una figura di Coach aziendale: un cliente con un
bisogno, avverte già di per sé una parziale sensazione di disagio, nascente dal fatto di aver bisogno
di un appoggio per la risoluzione del problema, se poi si rende conto che la figura di supporto è uno
psicologo, la crisi già in corso si accentua.
La figura dello psicologo, soprattutto in Italia, è sempre stata “demonizzata” poiché vista come la persona che cura i matti; “io non sono matto, per cui, automaticamente non ho bisogno dello psicologo”. La cultura ora sta lentamente cambiando, e con lei anche il modo di pensare e di concepire questa professione, rendendola meno stereotipata e riconoscendone le competenze.
Inoltre vorrei far leva anche sugli strumenti a disposizione dello psicologo, che sono utilizzabili
solamente da questo tipo di figura professionale. Secondo il mio punto di vista poter contare anche
sull’appoggio di questi “tools” rende sicuramente la professione di Coach psicologo più completa e
con una marcia in più.
Marco Masella (Moderatore). Ovviamente in una serata non si può pensare di mettere la parola
fine a un dibattito che è aperto da tempo, certamente però lo scambio è stato utile per far emergere
le criticità e punti di forza delle rispettive professioni.
Consulente organizzativo o Psicologo: la verità sta nel mezzo?
Forse il Coach ideale sta proprio nel mezzo: uno psicologo con una vasta esperienza d’azienda.
Condivido il fatto che un individuo porta con sé in qualsiasi momento e in qualsiasi contesto i
propri disagi e problemi. E quando ad esso si affianca un coach professionista per aiutarlo a
crescere o a risolvere questioni professionali il coach non può tralasciare la sfera privata. Per contro
ritengo che le competenze organizzative siano altrettanto indispensabili: chi non conosce il contesto
aziendale non può essere in grado di suggerire azioni o comportamenti che impatteranno – nel bene
o nel male – su tutta l’organizzazione.
Per arrivare a questo c’è solo una strada che è quella della formazione. Probabilmente insegnare a
uno psicologo i trucchi del mestiere manageriale risulta più “facile” nel senso che il percorso di
acquisizione delle competenze è certamente più breve che non acquisire le competenze e le tecniche
per “trattare” la psiche dell’individuo. In ogni caso il dilemma e tutt’altro che risolto, ma è
importante che se ne discuta: ricordiamoci che in gioco c’è sempre il benessere di una persona e più
in generale di una organizzazione che spesso spende anche molto per garantirsi coach con una
elevata professionalità.
Lo Psicologo è un professionista che si occupa di prevenzione, diagnosi, sostegno psicologico, abilitazione e la riabilitazione, utilizzando strumenti conoscitivi quali il colloquio clinico, l’intervista strutturata, i test psicologici e rispettando la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni.
I requisiti per esercitare la professione di Psicologo sono:
il conseguimento della laurea quinquennale nella Facoltà di Psicologia presso un’università italiana;
un tirocinio della durata di un anno, effettuato con la supervisione di un tutor-professionista iscritto all'Ordine;
il superamento dell'Esame di Stato, che consente l’iscrizione all’Ordine degli Psicologi nella sezione A dell’albo.
Può avvalersi dell’aiuto di uno Psicologo chi avverta disagio emotivo, disturbi d’ansia e dell’umore, problemi nel comportamento alimentare, disturbi della sfera intima, o chi sia in difficoltà in passaggi del ciclo vitale, ad esempio nell’educazione di bambini e adolescenti, l’elaborazione di un lutto, ecc.